Si chiama Borlengo, burleng, burlang è una sfoglia leggerissima e croccante aromatizzata con un battuto di lardo, aglio e rosmarino spolverizzato di parmigiano grattugiato. E’ uno dei piatti più tipici di quell’area dell’Appennino modenese/bolognese compresa fra i comuni di Vignola, Guiglia, Marano, Zocca, Castello di Serravalle, Castel d’Aiano, Pavullo, Savigno assieme alle crescentine con cui condivide quasi tutti gli ingredienti. Al nostro Borlengo è dedicato un museo/laboratorio a Monte San Giacomo presso l’Ospitale dove sono esposte immagini e vecchie fotografie e poi le padelle e gli utensili utilizzati nei tempi per cucinare questa pietanza friabile e gustosa. Periodicamente il Museo Laboratorio, in collaborazione con la “Compagnia dla Cùnza”, organizza corsi per imparare a preparare questo piatto povero, che come tutti i piatti poveri ha una storia che va indietro nei secoli. Ancora ci sono contese riguardo alla sua nascita.
A Vignola si dice sia stato preparato per la prima volta nel 1396, quando le truppe del condottiero Giovanni Conte da Barbiano di Aldalisio, alleato di Isacco e Gentile Grassoni, assediarono il castello, allora governato da Iacopino Rangone.
Guiglia, invece lo fa nascere oltre un secolo prima, nel 1266 ai tempi di Ugolino da Guiglia, durante l’assedio che questo condottiero subì, rinchiuso nel suo castello di Montevallaro, ad opera dell’esercito della famiglia degli Algani, Guelfi modenesi, capitanato da Nisetta degli Osti, Ruffo dei Rossi, Pepetto dei Trenta e da Crespan Doccia. Ugolino e la famiglia dei Grasolfi, che presidiavano il maniero, si arresero il 4 luglio 1266 e si racconta che riuscirono a resistere parecchio tempo in più, grazie a certi impasti cotti di farina e acqua, insaporiti d’erbe, assomiglianti a grandi ostie. Col passare dei giorni e con la scarsità di farina queste ostie si facevano sempre più piccole, sottili, quasi e trasparenti, e vennero considerati non più un cibo, ma una “burla”, da cui dovrebbero derivare la parola “burlengo”, che i pochi superstiti avrebbero diffuso in tutto l’Appennino.
Quanto incerta è la nascita del borlengo, altrettanto certe, come dicevamo, sono invece le condizioni in cui nacque, quale espressione della scarsità di mezzi di sostentamento di popolazioni sconvolte da guerre e tanta miseria. Una miseria di cui la forte emigrazione che tra ottocento e novecento interessò la montagna modenese è il risultato più tangibile. Sarebbe bello sapere se a Capitan Pastene che raccoglie tanti discendenti di emigrati da queste zone qualcuno faccia ancora i “burleng”….
La ricetta è facilissima.
Farina, acqua, uova e sale per la base detta anche “colla”. Pancetta o lardo macinato, aglio e rosmarino pestati, parmigiano reggiano grattugiato per la “concia” ovvero la farcitura.
Si prepara la “colla” con gli ingredienti base e raggiunta la consistenza desiderata, che è abbastanza liquida, se ne versa una quantità nell’apposita padella, chiamata “sole”, precedentemente scaldata e unta con cotica di maiale. Si fa ruotare il “sole” in modo che la “colla” si espanda in maniera uniforme. Dopo qualche minuto il borlengo deve essere capovolto e tenuto ancora alcuni secondi nel “sole” per essere condito con la “concia” e spolverato di Parmigiano – Reggiano. A questo punto viene ripiegato su sé stesso e servito.
Museo del Borlengo
Località Monte San Giacomo presso l’Ospitale 41059 Zocca, Modena
Info: Parco Sassi Roccamalatina 059.795721 ; Promappennino 059.986524, Museo del castagno e del borlengo