Prosegue la bella stagione del Filmstudio 7B con il film:
Nathalie Pêcheux è una professoressa di lettere divorziata, cinquantenne in ottima forma e madre premurosa finché non scivola verso una gelosia malata. Se la sua prima vittima è la figlia di diciotto anni, Mathilde, incantevole ballerina di danza classica, il suo campo d’azione poi si estende ai suoi amici, ai suoi colleghi, fino ai suoi vicini di casa. Il medico le spiega che il suo umore nero è da attribuire al periodo di transizione verso la menopausa, ma i registi David e Stéphane Foenkinos non cercano spiegazioni e si limitano a osservare, a distanza e allo stesso tempo con solidarietà, gli imprevedibili moti d’animo di una donna nella sua seconda adolescenza. La storia è quella che ormai sentiamo ripetere in ogni conversazione quotidiana e sempre più spesso al cinema, se non fosse per la straordinaria maestria di Karin Viard che riesce a far apparire fresco e intenso un intrigo che facilmente scivolerebbe nel cliché. Ed è proprio Karin Viard ad aver ispirato il personaggio di Nathalie ai fratelli Foenkinos che, dopo la Nathalie trentenne (Audrey Tautou) de La Delicatesse (2011), vogliono sondare l’animo di una cinquantenne in piena crisi di mezza età. Lo straordinario talento dell’attrice, che mostra la naturalezza di una donna qualunque e l’abilità dell’interprete esperta, conferma le aspettative dei registi su quello che è ormai un volto del cinema francese. Una rosa di attori altrettanto abili garantisce, dunque, l’intensità del film, molto giocato sulla recitazione: Anne Dorval, attrice feticcio di Xavier Dolan, Thibault de Montalembert, Anaïs Demoustier, Bruno Todeschini e Dara Tombroff, vera ballerina nel ruolo della figlia, reggono bene il peso della protagonista. Tra amara commedia e intimo ritratto, tra malinconia e risate, i fratelli Foenkinos ci mostrano allo specchio la nostra misera umanità. Un’audace commedia drammatica che scandaglia, ma senza alcuna pretesa psicanalitica, quel complesso rapporto tra madre e figlia, attraverso lo sguardo della donna matura che vede il fiorire della giovane progredire quanto il proprio declino. Con freddezza a volte ma senza mai perdere l’empatia, assistiamo alla trasformazione di una madre in mostro attraverso l’intera gamma di sentimenti racchiusi nella parola gelosia. L’invidia, la frustrazione, l’amarezza, la voglia folle di essere amata, la paura di non contare niente e per nessuno si dipingono sul volto di Nathalie, moralmente ripudiabile ma da cui lo spettatore non riesce a discostarsi. Karin Viard non offre alcuna scusa per salvare il suo personaggio che è perciò tanto più autentico quanto amabile.
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