Fino all’8 dicembre nello spazio OPEN BOX del Museo Magi ‘900 (Pieve di Cento) è allestita la personale di Fabrizio Loschi “SOLCHI, TRACCIATI, TESTIMONI” a cura di Valeria Tassinari, dove l’artista lascia esplicitamente aperta la porta dei “ritorni”, intesi come evocazioni e memorie di altre storie, di altre opere, di altri tempi. Dopo Ala di terra, un ampio progetto espositivo realizzato a Sassuolo in occasione del Festivalfilosofia, l’artista prosegue nella sua rilettura di un tempo interiore spaziando tra i temi dell’arte dei primi quarant’anni del Novecento, un’eredità che per lui è morale e immortale, e che segna profondamente il suo immaginario. Dipinti, sculture, disegni e taccuini, preziosi e a lungo lavorati, come appunti di un viaggiatore che conosce l’irrequietezza dello sguardo e del cuore, si dispongono così in una mostra dall’impatto vagamente anacronistico eppure, proprio per questo, rigorosamente attuale. Come ricorda Valeria Tassinari, curatrice della mostra «In Italia l’eredità della prima metà del Novecento ha un peso specifico immenso. A distanza di vent’anni, giusto il tempo di una generazione, siamo, forse, finalmente pronti per iniziare a ripensare a questo secolo in modo più libero, senza velature ideologiche, ma senza paura di dichiarare la nostra nostalgia, che esprime l’amore per ciò che non tornerà».
C’è, infatti, consapevolezza e non imitazione degli archetipi, nel repertorio di forme che Loschi restituisce nelle sue opere: le linee taglienti degli anni Trenta, la semplificazione della natura e la monumentalità di Sironi, i cavalieri di Arturo Martini, il riuso avanguardista e certi indefinibili azzurri che fanno pensare ai pittori novecentisti di Margherita Sarfatti.
Per l’artista, affascinato dalla figura umana, l’icona più emblematica è allora quella di un angelo che si è dimezzato, scegliendo di non volare più. «L’angelo – scrive Loschi – si recide un’ala mutandola in aratro; il suo “sacrificio” sancisce in modo inequivocabile il rapporto tra umano e divino. L’atto di “tracciare il solco” preannuncia le intenzioni dell’uomo, i suoi tentativi di domare la materia: la terra diviene il luogo, lo spazio sperimentale del suo “abitare stanziale”…».
Fabrizio Loschi (Modena,1965) nella sua città frequenta l’Istituto d’Arte Adolfo Venturi, sezione grafica. Si avvicina all’arte spaziando tra poesia, pittura, scultura e tipografia, prediligendo “materiali poveri”: carte riciclate, elementi naturali, organici, che hanno già avuto una storia, una loro destinazione d’uso. Nella scultura adotta numerosi materiali, anche con la tecnica della fusione. Le sue opere riflettono percezioni e memorie in costante silenzioso ascolto, cambiamento ed evoluzione. Tra le principali mostre si segnala: “Altrove” Galleria Contini, Cortina 2002; “Quarto Movimento” Galleria di Palazzo, Pavullo 2003; “SonoCosa”, Festivalfilosofia 2012, Galleria Mies, Modena, Aladiterra Spazio via Mazzini 43 Festival filosofia 2019.